Bimbi a scuola in via Crescenzago, fine anni '60. Fondazione Isec, Fondo l'Unità, redazione milanese, archivio fotografico

Introduzione

di Giorgio Bigatti

Molte ragioni ci hanno indotto a dedicare questo terzo numero della newsletter al mondo della scuola. Quando la nostra piccola redazione, formata da chi in ISEC lavora o comunque collabora, ha pensato di dedicare un numero a questo tema, nessuno era pienamente consapevole di quale mole documentaria fosse conservata in Fondazione. È stata per tutti un’occasione per immergersi nelle carte, sfogliare riviste oggi dimenticate, riscoprire esperienze, magari ingenue ma sempre generose, di sperimentazione di nuovi contenuti e di nuovi metodi didattici. Chi avrà modo di leggere i diversi contributi, che come è nostro costume partono dalle fonti e vogliono essere un invito a venirci a trovare, credo che rimarrà sorpreso. 

Di scuola si discute poco e si parla molto. Suggestionati da parole apparentemente moderne ma in realtà spesso vuote si invoca il merito. Raramente però si entra nel merito dei problemi. Oggi, il problema principale è quello di interrogarsi sul significato della parola “scuola”. In un paese che ha debellato la piaga dell'analfabetismo solamente nella seconda metà del Novecento e che ha dovuto attendere il 1962 per avere una scuola media unificata garantendo a tutti un percorso triennale di studio dopo le elementari, la scuola è stata per molti un canale di crescita culturale e di promozione sociale. In questo quadro l'esperienza delle 150 ore pagate per permettere, a chi era entrato in fabbrica giovanissimo, di prendere la licenza media è una conquista civile di prim’ordine. Oggi le nuove generazioni stentano a riconoscere nella scuola un valore e un vettore di crescita civile in un mondo iper connesso. E puntualmente le statistiche, senza farne un feticcio, segnalano il ritardo dell’Italia per numero di laureati rispetto agli altri paesi europei e i test PISA un deficit cognitivo importante. 

Probabilmente non esistono ricette facili per un problema di senso che non riguarda solo la scuola del nostro paese. Partendo da una selezione di documenti che ci parlano di formazione professionale (le scuole aziendali e di mutuo soccorso avviate a Sesto San Giovanni a inizio Novecento), di esperienze di sperimentazione dalla scuola materna alle superiori, di tempo e pieno e dei corsi delle 150 ore o di condizione dell’infanzia e politiche della medicina scolastica a Milano, non abbiamo voluto suggerire risposte ma semmai sollecitare nuove domande a partire da quelle che ci si era posti soprattutto negli anni settanta. Sono materiali e approcci in parte datati datati e in cerca di chi ne faccia materia di analisi storica. Tuttavia, indicativi di una temperie politico-culturale nella quale alla scuola, e a una sua riforma per adeguarla alle esigenze di una società in trasformazione, in tanti avevano creduto. Se la scuola viene declinata unicamente con parole come merito, competenze, impresa smarrendo il senso anche civile della sua missione, credo non si vada molto lontano. Con umiltà queste carte ci ricordano che al centro di ogni ragionamento sulla scuola devono esserci studenti e insegnanti.


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