Introduzione - Edilizia pubblica a Milano
Di Giorgio Bigatti
Eravamo abbastanza indecisi nella scelta del tema della nostra prima newsletter di questo 2024. Poi le immagini di giovani studenti attendati davanti al Politecnico di Milano, sintomo di un nuovo disagio abitativo molto più esteso e trasversale di quanto quelle immagini possano far pensare, ci ha indotto a puntare sulla questione della casa.
A differenza di altri temi, in Fondazione non si conservano fondi specifici ma i rimandi al problema della casa popolare sono numerosi e coprono una molteplicità di possibili approfondimenti. Per questo abbiamo deciso di dividere il dossier in due blocchi temporali. In questo primo abbiamo ristretto lo sguardo al periodo che va dalla nascita dell’edilizia pubblica, che per la nostra città, anche se non erano mancati in precedenza episodi significativi, coincide di fatto con i primi anni del Novecento, alle soglie del secondo conflitto mondiale, rimandando a una successiva newsletter l’approfondimento del tema relativamente agli anni del secondo dopoguerra.
Fatte salve alcune iniziative del Municipio e della Società Umanitaria negli anni precedenti, la storia della “casa pubblica” a Milano parte dal 1908, anno di nascita dell’Istituto Autonomo Case Popolari, la cui azione viene ricostruita fino agli inizi degli anni trenta e anche oltre, come mette in luce Dino Barra.
L’azione dell’IACP non era ristretta al territorio comunale. Soggetto pubblico o quasi, ci sia consentito di non entrare in dettagli, l’IACP interagisce, in particolare nel territorio di Sesto San Giovanni, con la direzione dei grandi stabilimenti siderurgici e meccanici impegnati a legare a sé una parte della manodopera. Giorgio De Vecchi evidenzia come la trasformazione di Sesto da borgo rurale a grande centro industriale abbia imposto alle aziende di farsi carico di quello che oggi si definisce welfare aziendale, nel cui perimetro la costruzione di case per impiegati e operai rappresentava un capitolo significativo.
Ideale congiunzione fra iniziativa privata e pubblica è l’architetto Giovanni Broglio. Come mostra Alberto De Cristofaro, è a lui, direttore dell’ufficio tecnico dell’Iacp fino al 1935, che la Breda affidò già prima della Grande guerra la costruzione di un quartiere modello nei pressi del suo stabilimento di Sesto e sempre a Broglio avrebbe in seguito fatto ricorso per tutte le iniziative nel campo dell’edilizia sociale.
Uno sforzo imponente, che si affiancava a analoghe iniziative prese dalla Ercole Marelli e dalla Falck, della quale merita di essere ricordata la scelta di dare vita a un “villaggio operaio”, una tipologia di insediamento che, mutuando il modello della città giardino, vedeva nella casetta con giardino una risposta possibile ai mali, insieme igienico sanitari e sociali, dell’urbanesimo, come mostra Ruggero Pedroletti in un contributo che prova a rileggere le vicende dei quartieri a villette costruiti a Milano nei primi anni venti dall’amministrazione socialista attraverso le pagine di una rivista, La Casa, edita dal Comune di Milano. La rivista aveva il suo instancabile animatore in Alessandro Schiavi, altro esponente come Giovanni Broglio di quel riformismo socialista che è stato un capitolo importante della Milano novecentesca.
Sforzi tenaci in grado di attenuare ma non di risolvere il problema della casa aggravato anzi dal processo di decentramento degli operai, come pudicamente veniva definito il processo di selezione sociale degli abitanti del capoluogo da parte dei reggitori della cosa pubblica. Di questo tratta l’indagine realizzata nel 1939 da Piero Bottoni in collaborazione con Mario Pucci, nel contributo di Giorgio Bigatti che chiude questa newsletter.
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