La Storia entra dentro le stanze
Di Monia Colaci
Come spesso accade, alla morte dei suoi genitori Donatella Rana ha dovuto decidere cosa fare dei mobili, degli oggetti e dei ricordi che i molti anni di matrimonio avevano depositato nelle stanze di casa. Tra le cose che non si aspettava di trovare le son capitate tra le mani circa ottocento lettere risalenti agli anni della Seconda guerra mondiale: il carteggio tra due giovani, Piero e Jole, i suoi genitori appunto.
E tre anni fa queste lettere ci sono state affidate.
In quest’articolo ripercorreremo la loro storia, quella di due persone comuni che, come suggerisce il titolo del libro che raccoglie il loro scambio epistolare, si sono scritte parole d’amore in anni di guerra.¹
Piero nasce nel 1916, Jole cinque anni più tardi. Quando nel 1939 Piero viene mandato in Piemonte per svolgere il servizio militare, i due, che vivono e lavorano a Sesto San Giovanni e da poco si sono fidanzati, si impegnano in una fitta corrispondenza.
In un primo momento, prima cioè che l’Italia entri in guerra, a prevalere nei toni dello scambio è soprattutto la speranza di risparmiare a lui, figlio unico di madre vedova e impiegato alla Falck, legata alla produzione bellica, il servizio militare. Pesa, su questa speranza, anche il ricordo del padre, morto nella Prima guerra mondiale con il foglio di congedo in tasca.
Intorno a questo obiettivo si mobilita, però inutilmente, tutta la parte femminile delle due famiglie: Jole, sua madre, quella di Piero.
Scrive Jole il 26 settembre 1939:
Carissimo Piero, stamani tua mamma è andata a casa del dott. Galbiani per parlargli in merito alla richiesta che deve fare la Falck, ma purtroppo le ha risposto che per le classi 1915 e 1916 loro non possono fare nessuna richiesta […] quindi ora aspettiamo ciò che non verrà mai.²
Anche Jole è un’impiegata, lavora infatti alla Permolio, azienda petrolifera con una sua sede a Sesto. La sua attività lavorativa, che sarebbe poi continuata per decenni portandola al ruolo di capoufficio, filtra a tratti nelle lettere, in particolare nei passi in cui ai vezzeggiativi si alterna il tono burocratico o, come nel brano citato, al linguaggio d’ufficio segue quello dello scoramento di una giovane che vorrebbe il fidanzato accanto a sé.
Il tentativo di Piero di essere esonerato dal servizio militare fallisce, e dopo il 10 giugno 1940 arriva la chiamata alle armi.
"Da ieri ci siamo attendati per precauzione; ieri sera ho sentito il discorso di Mussolini […]" scrive Piero l’11 giugno senza commentare. Ma poco più giù aggiunge:
Sono molto stanco e per di più stanotte ho dormito malissimo e molto poco. […]. La mia divisione è la Superga, in caso di eventi, a titolo di informazione.
Come forse qualcuno avrà notato, il titolo di quest'articolo si richiama a una delle canzoni più note di Francesco De Gregori, La storia; in uno dei suoi versi più intensi, il cantautore scrive infatti: "la storia entra dentro le stanze e le brucia". Forse perché la memoria della Seconda guerra mondiale fa capolino a più riprese nei testi di De Gregori, quella delle stanze, luogo per eccellenza di vita privata, investite dal fuoco della storia, ci è sembrata una metafora in grado di illustrare bene la situazione in cui vengono a trovarsi questi due giovani.
Risponde infatti Jole il 12 giugno:
Qui a Milano hanno dato da ieri notte tre segnali d’allarme. Le batterie contraeree sono entrate in azione.
Piero le fa eco pochi giorni più tardi:
Oggi 21 giugno data memorabile: mai visto uno spettacolo del genere. Di solito ci sono bombardamenti ma è roba più tollerabile; stamane non hanno mai cessato: sparavano da tutti i punti.
E nelle settimane successive la guerra, con il suo carico di angosce, disagi e lutti, guadagna sempre più il centro della scena.
Lo si può osservare dagli eventi che vengono riferiti, gli sfollamenti, il razionamento del cibo, la fatica a trovarne; ma forse ancor più significative sono le "pieghe" tra le parole.
Entrambi ad esempio insistono sul fatto che "stanno benone", salvo raccontare poche righe più giù che non mangiano o si stanno curando per qualche malanno o che sono tristissimi, nervosi, spaventati.
Entrambi si dichiarano pronti al dovere: "in tempo di guerra il dover militare innanzi tutto!", dice Jole, e a più riprese si proclama, di certo suggerita dalla censura ma con accenti di sincerità, l’avversione antinglese e la certezza della prossima vittoria italiana.
Poi però, calamitato dalla lontananza e dalla nostalgia, emerge il sentimento della guerra come di un fatto incomprensibile, quasi di un disastro naturale che occorre sopportare con pazienza e spirito di sacrificio. Scrive Piero:
Non capisco perché il destino sia così avverso, non capisco quale sia quell’enigma che ci vuole vedere separati e in questo periodo ci fa realmente soffrire.
Del resto, come sottolinea Antonio Gibelli parlando della guerra russo-nipponica del 1904-05, "il paragone tra la guerra moderna e le catastrofi naturali [è] un luogo comune degli osservatori".³
A voler tracciare un profilo dell’‘ingombro’ della storia in questo scambio epistolare, si può dire che esso è suddiviso in tre segmenti.
Un primo gruppo di lettere risale a pochi giorni dopo l’invasione tedesca della Polonia; la guerra, su cui ci si tiene costantemente informati, è un’ombra sempre più densa e minacciosa. Tuttavia, come si diceva, prevale su tutto la preoccupazione di ottenere il congedo per Piero. In un secondo gruppo, successivo al 10 giugno ’40, dilagano lo shock e l’angoscia per un conflitto che è ormai tra le mura di casa; questo segmento digrada poi quasi insensibilmente nel terzo, in cui le cure quotidiane riprendono il sopravvento.
O forse la storia è un po’ più ingombrante.
C'è infatti un altro filo, altrettanto interessante, che può essere seguito: quello delle relazioni tra i due fidanzati.
I due giovani si amano, le rispettive famiglie sono già state coinvolte, la prospettiva è il matrimonio, insomma una storia "seria", benché la lontananza la trasferisca nella dimensione del sogno. Scrive Piero:
Il nostro sogno ci spinge a qualsiasi sforzo, vi dobbiamo arrivare per far sì che i nostri visi siano illuminati da tanta gioia.
E in quella del dolore:
non avevo voglia di fare niente, solo di continuamente pensare al caso mio, al mio dolore […] mi sono rifugiata nel gabinetto, mi sono chiusa lì dentro e, lontana dagli occhi di tutti, mi sono sfogata […] piango silenziosamente mentre ti scrivo, risponde Jole.
Le due visioni dell’amore tuttavia non collimano del tutto.
Specie nelle prime lettere, Piero lo colloca volentieri in una prospettiva "eroica", in cui l’eterno femminino attira ed eleva:
[…] noi uomini, quando si ama, si pensano cose sovrumane, si va sempre a pensare a cose che non esistono in noi ma nel mondo si verificano.
Circa un anno più tardi, avrebbe tracciato il profilo della coppia perfetta, collocandola ancora su un terreno ideale, ma più vicino alla quotidianità. Scrive nell’ottobre 1940:
Sono pure contento, che la mia donnina lavori con tanto entusiasmo; mi fa pensare a un amore completo di tutte quelle buone doti che deve avere una perfetta sposina, svelta e in gamba in ufficio, che se la cava nei lavoretti di casa; e anch’io sarò d’aiuto, ottimo compagno e buon marito e così ci aiuteremo a vicenda per tutto quello che vorremo fare.
A questo si affianca poi la convinzione che una piena realizzazione di sé non può prescindere dalla presenza di una "brava moglie":
[…] desidero solo te, esserti vicino e non poterti più abbandonare […] solo allora io sarò un uomo che può contare nella vita.
Più complesso il sentimento di Jole.
Come in Piero, non manca una forte componente di idealizzazione, un po’ dovuta all’età, un po’ alle circostanze, un po’ al desiderio di rassicurare l’altro circa i propri sentimenti.
A questa si sommano però altre componenti e altri sentimenti.
Quello materno della cura, certo, che si esprime nella preoccupazione per la salute dell’amato, nell’invio di pacchi, nelle visite alla madre di lui e via dicendo.
Interessante e complesso anche il richiamo, molto frequente, ad evitare di frequentare le case chiuse. Jole ne parla in modo esplicito, in un tono che vorrebbe essere materno, ma da cui trapela una doppia angoscia: quella di aver scelto la persona sbagliata in quanto troppo presa da vizi o debolezze, come lei li definisce, o in quanto troppo propensa a farsi trascinare dai propri compagni; ma anche quella di essere in qualche modo tradita. Un tradimento però extra legem, di cui non ci si può lamentare seriamente.
Parlando poi della tristezza causata dalla lontananza del fidanzato, Jole scrive:
Cocco, voglio sperare che a te non secchino queste frasi, così sincere e dettate da un cuore che ama fortemente. Ad ogni modo, se così fosse, scusami e perdonami!
Quante e quante volte avrei dovuto dirti tutta mortificata “perdonami, prometto che non lo farò più!” Invece no, il mio carattere caparbio e superbo me lo impediva. Ma ora tutto è cambiato, tu sei stato capace di dominarmi e di rendermi docile e più buona. Tutto questo è merito tuo e ti prometto che sarai largamente ricompensato di ciò.
Un brano ricco di implicazioni.
Consapevole che la moglie ideale deve essere forte, capace di grandi slanci, ma altresì in grado di tenere a freno i propri sentimenti, la ragazza si scusa per averglieli manifestati con troppa foga. Nel chiedere il perdono di Piero, inoltre, Jole lo legittima nella funzione maritale dello ius corrigendi⁴ e si dichiara felice di sottometterglisi. Una dichiarazione così accorata che viene il sospetto sia stata concepita in un tentativo di auto-convincimento prima che di altrui rassicurazione.
Un sospetto che trova conferma nelle non rare circostanze in cui Piero mostra l’ansia determinata dalla perdita del controllo sui comportamenti della propria futura moglie.
Citeremo un solo episodio.
Il primo settembre del 1940 Jole, facendo un piccolo passo in avanti nella propria carriera, assume le mansioni di segretaria. Pochi giorni più tardi Piero, che pure sostiene convintamente le scelte lavorative della fidanzata, le dice:
io ti scrivo tutti i giorni e sono sicuro del mio fatto e se ti preme il mio scritto giornaliero, scrivi tutti i giorni anche tu altrimenti io sospendo di scriverti. Ti faccio notare che in dodici giorni hai saltato ben cinque volte, una prova di questo genere non me l'hai mai fatta, si capisce che la segreteria ti ha nobilitato (farò te capofamiglia, dato che guadagnerai di più!).
Senza scomporsi troppo e in un linguaggio “da ufficio”, Jole risponde:
Ricevo inoltre il tuo calcolo sulla mia corrispondenza e ti faccio notare che è errato. Non ho mai smesso di scriverti!
La Segreteria mi tiene impegnata ma solo durante la giornata; penso invece che le ragioni esposte per il mio mancato scritto siano più che comprensibili. Torno a casa alle 20:15 e dopo aver cenato e fatto alcune cose arrivano subito le 22. Ora poi c'è sempre il dubbio degli allarmi, prima, lo sai facevo anche mezzanotte ma ora non è possibile. Ad ogni modo, nessuna scusa perché non c'è cosa peggiore di coloro che non vogliono comprendere! […] La distanza mi impedisce di far qualcosa per te, però ci sarà qualche anima buona che può esserti utile lì dove ti trovi.
Una “caparbietà” e una “superbia”, quelle manifestate in questo scambio, che oggi evidentemente troverebbero ben altra definizione, ma che, intrecciate a tanti altri dati caratteriali che emergono dalle sue parole, fanno di questa diciottenne degli anni Quaranta una persona affascinante.
Non è che un episodio, ci fermiamo qui.
Nella già citata canzone del 1985, De Gregori diceva anche: "siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere".
Le lettere tra Jole e Piero terminano nel 1943, quando sono ormai ‘sposi felici’.
Della vita di nessuno, men che meno quella di una coppia, è mai davvero possibile fare un bilancio, pesando quanto si è vinto e quanto si è perso. E tuttavia vale la pena trattenersi ancora un attimo tra le parole di Jole quando il 15 febbraio 1941 scrive: "terminerà anche la guerra e finalmente avremo un po’ di pace, anche nel cuore".
Un auspicio che si è realizzato: Piero e Jole hanno vissuto un lungo matrimonio, come ci ha raccontato Donatella affidandoci le molte, preziose parole dei suoi due giovanissimi genitori.
Note
Donatella Rana, Parole d’amore in anni di guerra, Milano, autoproduzione, 2022
Tutte le citazioni relative allo scambio epistolare di Piero e Jole provengono dal fondo Rana Piero e Vanni Jole, conservato nei nostri archivi.
Antonio Gibelli, L’officina della guerra, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pag. 19
Lo ius corrigendi, vale a dire il diritto/dovere del marito di “educare e correggere" la moglie e i figli, anche eventualmente con l’uso della forza, viene abolito nel 1956. Per una panoramica sull’apparato giuridico sullo ius corrigendi e la sua relazione con la violenza di genere, cfr L. Schettini, La violenza maschile contro le donne, in S. Salvatici, Storia delle donne nell’Italia contemporanea, Carocci, Roma 2022.