Ritratto di donna nel Novecento
Le lettere di Ada Buffulini a Carlo Venegoni
Di Alberto De Cristofaro
Il fondo Carlo Venegoni custodito in Fondazione ISEC (93 unità archivistiche) conserva parecchia corrispondenza, ma le 50 lettere scritte da Ada a Carlo tra il giugno 1945 e l’ottobre 1949 spiccano in modo particolare, in primo luogo per la qualità della scrittura della corrispondente e poi perché ci restituiscono i caratteri di due personaggi davvero poco ordinari e che vale la pena conoscere.
Chi era lei?
Ada Buffulini nasce a Trieste il 28 settembre 1912 in una famiglia della borghesia irredentista. Trasferitasi negli anni Trenta a Milano, da sola, per gli studi universitari, si laurea a pieni voti con lode in Medicina. Donna colta, si interessa di letteratura, di musica, d’arte ed è affascinata in particolare dalla cultura tedesca. A Milano si avvicina al movimento antifascista e durante la specializzazione in radiologia, l’8 settembre 1943, conosce Lelio Basso, segretario del Partito socialista. Entrata in clandestinità, nel luglio 1944 viene arrestata e finisce nel carcere di San Vittore, dove rimane due mesi. Viene trasferita poi nel ‘campo di transito’ di Bolzano, e lì conosce l’uomo della sua vita, Carlo Venegoni. A Bolzano lavora come medico e i ricordi dei malati da lei curati sono univoci sul suo conto¹. In quel contesto, Ada coordina le attività di un Comitato clandestino di resistenza che assiste i prigionieri, li mantiene in contatto con le famiglie e organizza alcune fughe. Cessato il conflitto, ritornata a Milano, entra a far parte della Direzione del Psi, ma nel 1947 aderisce al Pci e riprende la sua professione di medico. Per anni è vicepresidente dell'Aned. Muore a Milano il 3 luglio 1991².
Chi era lui?
Carlo Venegoni nasce a Legnano (Mi), da famiglia operaia, il 7 maggio 1902. Operaio egli stesso, a 12 anni lavora nel Cotonificio Cantoni e tre anni dopo è alla Franco Tosi. Socialista, aderisce, con il fratello Mauro, alla frazione comunista del PSI e dopo il congresso di Livorno (1921) fonda la sezione comunista di Legnano. Nel 1924 Antonio Gramsci lo sceglie come componente della delegazione italiana al V Congresso dell'Internazionale Comunista a Mosca. Eletto nel Comitato Centrale del Pcd’I (1926), entra in clandestinità. Arrestato a Torino (1927) viene condannato a 10 anni di prigione dal Tribunale Speciale. Liberato nel 1933, con l’entrata in guerra dell’Italia è di nuovo arrestato e rinchiuso nel campo di concentramento di Colfiorito (Pg), dove rimane sino alla caduta del fascismo. Tornato a Legnano, con i fratelli Mauro, Pierino e Guido riorganizza il movimento antifascista. Arrestato il 28 agosto 1944 dalla Gnr, consegnato alla Gestapo, il 7 settembre è deportato nel campo di Bolzano, da cui evade il 25 ottobre. Trasferito a Genova dal Cln, assume la responsabilità delle Sap di Genova Centro. Nel dopoguerra è prima segretario generale della Camera del Lavoro di Genova, quindi collaboratore di Giuseppe Di Vittorio alla Cgil nazionale e poi segretario della CdL di Milano (1955). Deputato comunista (1948-1963), è consigliere comunale a Legnano e poi a Milano, dove muore il 21 febbraio 1983³.
Le lettere
Dalle lettere conservate in ISEC emerge prepotentemente la personalità di Ada, ma attraverso le parole di lei si intravede, in controluce, anche la figura di lui, e questo succede perché tra i due si è instaurato sin dall’inizio un rapporto dialettico e affettivo molto intenso. Già nella prima lettera a noi pervenuta, e forse la prima in assoluto scritta da Ada, il 30 giugno 1945, l’unica tra l’altro dattiloscritta, si appalesa questa caratteristica di un incontro simbiotico tra due individui che pure hanno un retaggio familiare e un background culturale assai diverso ed esperienze di vita lontanissime tra loro. Si sono trovati in circostanze difficili, in un campo di prigionia, e si sono avvicinati l’uno all’altra come fossero calamitati. A unirli, immaginiamo, da subito, il piacere del dialogo, di mettere a confronto le proprie idee, di apprendere l’uno dall’altra e viceversa. Nella prima lettera questa caratteristica del loro rapporto – quando ancora non si poteva parlare d’amore fra i due, ma di un sentimento che era nato, questo sì – è subito palese. Ada scrive infatti:
Ho vivo desiderio di rivederti e rifare con te una lunga conversazione come ne facevamo nei pomeriggi domenicali al campo. Quei nostri colloqui mi sono stati molto utili e da allora cerco di adeguare sempre la mia vita in tutte le sue forme a quell’ideale di militante di Partito, del quale tu e Cinelli mi avete dato un esempio.
In breve, passato qualche mese, i rapporti tra Ada e Carlo si consolidano, i dubbi iniziali di Ada sui sentimenti di Carlo nei suoi confronti, che ancora alla fine di settembre si esprimevano tormentosamente ("Così passeranno tanti giorni prima che io ti riveda, prima che io sappia se era vero o no", e quelle parole sottolineate ci dicono moltissimo col loro sottinteso), si sono sciolti e Ada, il 13 ottobre, può scrivere:
[…] un poco anche mi vergogno di comportarmi come una ragazzina innamorata di quindici anni, mentre – ahimè! – è passata tant’acqua sotto i ponti. Tuttavia quest’oggi non riesco a rinunciare al desiderio di conversare ancora un poco con te, anche se tanta distanza ormai ci divide. Ma da quando ti ho lasciato ho continuato sempre con te un lungo dialogo muto che mi separava dagli estranei vicini per riunirsi a un carissimo lontano e riprendere con lui l’interminabile discussione interrotta.
Anche in questa missiva ritorna, forte, il tema del confronto dialettico tra i due, un confronto costante, proficuo, mai banale, alla cui base doveva esserci il reciproco impegno politico: entrambi militanti della sinistra, ma Ada impegnata nel Partito socialista e Carlo in quello comunista; entrambi in posizioni apicali all’interno delle loro formazioni, si dovevano spesso muovere lungo la penisola per impegni diversi e i momenti in cui stare insieme erano davvero pochi, conquistati faticosamente ("Soprattutto mi dispiace pensare che arriverò a Roma quando tu non ci sarai ancora e che tu verrai forse anche a Roma in questo periodo ma non avremo modo di vederci", 17 nov. 1945; e ancora: "Dove sei, amore caro? A Roma, dove sono arrivata quest’oggi a mezzogiorno dopo un viaggio massacrante – 27 ore in un camioncino – non sono riuscita a trovarti e non credo che tu possa essere ancora a Genova […]", 20 nov.).
Le lettere dovevano servire ad Ada, ma immaginiamo che questo potesse valere in qualche misura anche per Carlo, per mantenere vivo un colloquio che doveva avere un’importanza notevolissima, non solo per riaffermare i sentimenti che li univano, ma anche come confronto politico, come necessità da parte sua di sentire l’opinione del compagno, tanto preziosa in considerazione della sua lunghissima e intensa militanza politica, passata attraverso il vaglio di prove anche durissime. Il tono delle missive era spesso autoironico, Ada doveva avere sì forti convincimenti, ma attraversati da una sana capacità di rendere tutto un po’ più lieve ("Sabato sera verrò quasi certamente a Legnano a fare un comizio con Lucio Luzzatto. Se vuoi venire a fare il contradditorio, vieni pure, ma bada che Legnano è casa tua e… l’ospite è sacro!", 3 apr. 1946), cosa che a Carlo non doveva viceversa riuscire con altrettanta naturalezza. I suoi resoconti di vita di partito sono sempre gustosi, pieni di osservazioni interessanti, di scorci vividi, come in questa lettera dell’8 maggio 1946:
Stamattina sono andata alla Brill⁴ di Affori dove si inauguravano le bandiere delle tre cellule socialista, comunista e democristiana. C’era un oratore comunista, antipatico come la peste, che si dava un mucchio di arie, ma quando parlava mi diventò più simpatico perché aveva anche lui la cadenza caratteristica del piccì, che mi aiutava a ricordare la tua voce. Simpatico era l’oratore democristiano, Lucchini, che parlò decisamente come un uomo di sinistra. La cerimonia fu – tutto sommato – molto bella e commovente, e si svolse al suono dell’Internazionale e della “Banda d’Affori” che lì è una specie di inno nazionale (!!).
O in questa del giorno successivo:
[…] poi riunione di frazione, i compagni erano tutti d’accordo, ma mi sembravano tutti maledettamente addormentati. Mi illudo che fosse causa l’ora tarda, ma più probabilmente è perché sono contadini e prima che si scaldino ce ne vuole. Ma forse faranno qualche cosa anche loro.
Mentre parlavo, mi sono accorta con vero spavento che vado assumendo anch’io la cadenza del piccì. Ahimè! così tutti sapranno che ho un moroso comunista e mi rovinerò quello straccio di riputazione che mi rimane!
Talvolta, fra le righe, pare di cogliere anche il pensiero di Carlo rispetto ad argomenti lontani dall’agone politico. Si legga ad esempio questo brano di una missiva del 14 maggio in cui Ada parla della sua passione per la lettura:
Prima di addormentarmi, ogni sera leggo un paio di capitoli del libro che abbiamo in parte letto insieme e mi pare di sentire la tua voce. Mi accorgo che nel leggere penso di dare alle frasi ed alle parole l’inflessione che daresti tu. Sai, Carlo, non mi devi rimproverare per il mio atteggiamento troppo intellettualistico, ma lasciami dire che quei pochi capitoli di un libro qualunque che abbiamo letto insieme mi hanno consolato molto e forse se lo avessimo fatto prima avrei sentito meno, accanto a te, quell’impressione di solitudine che a volte mi aveva realmente spaventato. Non mi rimproverare, Carlo: pensa che per molti anni io non ho vissuto altro che nei libri e non ho conosciuto altra realtà: anche ora nei libri mi ritrovo a casa mia, e mi sembra di essere un esule che viva coraggiosamente all’estero e cerchi animosamente di ambientarsi in un paese non suo, ma si rifugi di tanto in tanto in un piccolo ambiente dove ritrova la lingua, le abitudini, gli atteggiamenti conosciuti fin dall’infanzia. […] Io mi vergogno un poco nel dirti queste cose, ma spero sempre che tu mi capisca.
Questo frammento di lettera evidenzia una difficoltà che Ada vede nel suo rapporto con Carlo, quella cioè di far convivere due personalità diverse che pure si attraggono: lei donna sensibile e passionale, intellettuale sofisticata, lui uomo pragmatico, concreto, estremamente controllato, tutto politico, poco attratto dalle discussioni teoriche, ma pure coinvolto da lei in dialoghi che dovevano certo metterlo in difficoltà, senza per questo farlo arretrare.
Il carattere di Ada è quello di una donna che sa ciò che vuole e lo persegue con la massima determinazione. Questo tratto della sua personalità emerge in modo cristallino allorché scopre di essere incinta e di fronte alle responsabilità che le si parano davanti “richiama” Carlo con una perentorietà assoluta, con un realismo che sembrerebbe, dal brano precedente, esclusivo patrimonio di lui. Nella lettera dell’1 giugno 1946 si legge infatti:
Carissimo Carlo,
ti prego di non lasciarmi sola con una così grave responsabilità tutta su di me. Se tu non ne vuoi sapere, di me e del bambino, allora dimmelo chiaramente e per me e per la mia creatura ci penserò io. Ma se vuoi che il bambino sia nostro, se vuoi che noi fondiamo una famiglia, allora non puoi cavartela con due parole evasive “Ma sì che sono contento, perché no?”. Allora ci sono delle decisioni da prendere ci sono delle risoluzioni da proporre e da discutere: allora non puoi pretendere che io decida e risolva per me per lui e per te. Ci sono delle donne che pigliano marito per addossare a lui tutta la responsabilità della famiglia e di loro stesse. Io non voglio far questo ma nemmeno mi sento la forza e il desiderio di addossarmela tutta su di me la responsabilità anche per quello che ti riguarda, anche per quello che tu devi decidere, o meglio che dobbiamo decidere insieme.
Incertezze passeggere, ben presto fugate, da quel che si arguisce dalle lettere successive, in cui il tono si fa più disteso, più pacato, tornando all’antica consuetudine di una esposizione capillare di sentimenti e stati d’animo, ma anche di pensieri e di resoconti di impegni politici e sociali, con la consueta verve ironica, che doveva essere una caratteristica peculiare di questa donna. Si legga ad esempio l’incipit di questa sua del 20 settembre 1946, scritta su carta intestata della Sezione di Milano del Partito socialista italiano di unità proletaria:
Carissimo Carlo,
l’ho sempre detto io che sei un imbroglione e che cerchi sempre d’ingannarmi! Prima mi hai spiegato con tante ragioni commoventi che dovevi restare a Roma perché il Partito, i lavoratori, la classe operaia ecc. ecc. avevano bisogno di te ed ora salta fuori che non era vero niente e che potevi benissimo venire a Milano. Ma bene! Ed io ti ho sempre creduto da quella scema che sono […] e il peggio è che la prossima volta che tirerai fuori il Partito, i lavoratori, la classe operaia, ecc. continuerò a crederti e invece sarà per qualche Romana di Roma […] Siamo destinate a essere sempre imbrogliate noi povere donne!
La nascita del loro primo figlio, Mauro, non cambia certo le cose tra loro, o meglio le cambia sì, nel senso che, se possibile, rinsalda un rapporto che appare molto solido, fatto di grande complicità, stima e affetto reciproco. Tutto ciò traspare bene da questo brano di una lettera del 23 maggio 1947:
Abbiamo fatto un ottimo viaggio e Mauretto è stato buono come un angelo: è rimasto tranquillo fino a Mestre (quasi le 6 del mattino), quando gli ho dato il biberon; poi mi sono alzata anch’io e l’ho tenuto un po’ in braccio, gli ho dato un’altra pappa e alle 11 siamo arrivati. […]
Ora esco per impostare questa lettera e mandarti un telegramma. Scrivimi presto che cosa fai, come stai e quando andrai a Firenze. Amore mio caro, ho tanto tanto desiderio di vederti. Ti abbraccio stretto stretto col nostro Mauretto.
Donna impegnatissima, Ada divide ora il suo tempo tra il lavoro in ospedale, gli impegni politici e il lavoro domestico di accudimento del piccolo Mauro, ma non dimentica la passione per i libri e di tutto “parla” con Carlo, come in questa sua del 18 agosto 1948:
Sto leggendo il Robespierre. Ma come fai a dire che è bello? È di una superficialità che fa spavento: se Anna Bertolasi⁵ dovesse scrivere un libro su Robespierre lo farebbe tale e quale.
In Ospedale ho sempre molto da fare; in federazione non ci vado perché sono troppo arrabbiata.
Scrivimi subitissimo e dimmi se hai intenzione di venire a Milano e quando. Ma farai meglio a stare alla larga perché hai una moglie furibonda⁶.
Ironia e affetto sono le note dominanti anche delle ultime lettere di Ada conservate in Fondazione ISEC, lettere che, complessivamente, ci trasmettono l’immagine di una donna che sapeva amare e anche sorridere delle proprie e delle altrui debolezze. Ci piace chiudere questo pezzo con un brano di una lettera del 18 maggio 1949, in cui Ada si rivela appieno:
Caro marito,
quando tu sei partito, volevo mettermi a piangere, ma – ricordandomi che non avevo fazzoletti abbastanza – ho aspettato, prima, di averne acquistato altri quattro nuovi. Questi quattro, poi, sono così meravigliosi che non ho ancora avuto il coraggio di adoperarli e perciò il pianto è rimandato sine die.
Note
“La dottoressa Buffolini si prodiga, come sempre, per tutti” (Mino Micheli, I vivi e i morti, Milano, Mondadori, 1967, p. 21); Una infermiera bionda, occhi azzurri e viso dolce, chiede se fra noi vi sia qualcuno di Milano. Mi avvicino. Ada Buffulini, cara Ada, angelo di tutti. Anch’ella è medico, e si adatta al ruolo inferiore per poter fare un po’ di bene (Piero Caleffi, Si fa presto a dire fame, Milano-Roma, Edizioni Avanti!, 1955, pp. 103-104).
Per un ritratto di Ada Buffulini si veda A. Buffulini, Quel tempo terribile e magnifico, Milano, Mimesis, 2015.
Sui fratelli Venegoni si veda Renata Pasquetto, Mauro Venegoni e i suoi fratelli, Milano, Mimesis, 2023.
La Brill era un'industria chimica famosa per la produzione di lucido per scarpe.
Una amica di Ada.
Per una serie di mancanze di Carlo nei suoi confronti di cui parla nella prima parte della lettera.