Introduzione - fabbriche
Di Giorgio Bigatti
Circa un anno fa abbiamo pensato di dar vita a una Newsletter che a cadenze regolari raccontasse la ricchezza del patrimonio della Fondazione ISEC e suggerisse nuove piste di ricerca agli studiosi. Non immaginavamo però che saremmo stati sorpresi noi stessi dall’ampiezza delle prospettive emerse dall’esplorazione degli archivi documentari, fotografici, audiovisivi e dei fondi librari della Fondazione. Invece, numero dopo numero, abbiamo messo a fuoco come documenti a noi ben noti se posti in relazione con altri assumono nuove sfumature, creando connessioni inedite e interessanti. Per questo, dopo il numero sugli archivi personali e in preparazione di quello dedicato all’80° della Liberazione, abbiamo pensato opportuno tornare a volgere lo sguardo al mondo della fabbrica, cercando nuove chiavi di lettura.
Il lavoro e le culture che si scontrano all’interno e attorno alla fabbrica sono uno degli assi che, dalla sua costituzione nel 1973, hanno orientato l’azione della Fondazione ISEC. Non a caso le prime pubblicazioni dell’allora Istituto milanese per la storia della Resistenza e del Movimento operaio hanno al centro la fabbrica: Città e fabbrica nella Resistenza: Sesto San Giovanni 1943-1945, curato da Giuseppe Vignati e Gianfranco Petrillo (1974) e La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo, 1945-1948, che raccoglie una serie di ricerche sulle grandi fabbriche sestesi condotte da Martino Pozzobon, Roberto Mari, Febo Guizzi, Ettore Santi sui materiali dell’archivio ancora in via di costituzione. Da allora molta strada è stata percorsa e gli orizzonti della nostra Istituzione si sono allargati, senza mai tagliare però i fili che ci legano a quel passato ormai lontano.
Tra i più saldi di questi fili è l’attenzione a quelle fabbriche che oggi sono solo un ricordo, cancellate da un processo di trasformazione economica che nel nome di una rapida deindustrializzazione ha terremotato intere comunità. Anche quella di Sesto San Giovanni, città che ha perso il suo baricentro e sembra ancora alla ricerca di una nuova identità, stretta tra il non più e il non ancora. Del resto parlare di impresa e lavoro dalla prospettiva di un archivio storico significa quasi inevitabilmente parlare di qualcosa che ha cessato di esistere, ma non per questo da dimenticare. Al contrario. Sono storie che rivendicano il diritto a non essere dimenticate, memorie di donne e uomini, di conflitti, di saperi e tecnologie: vicende ancora capaci di generare ricchezza sociale e per tale via contribuire alla crescita civile e culturale del nostro paese. Non è la nostalgia a spingerci a guardare a quella stagione, ma la consapevolezza che queste storie hanno ancora qualcosa da insegnarci, se non altro per la loro dimensione collettiva portatrice di un’idea di futuro che oggi pare smarrita, come mostra il fatto che sempre più giovani abbandonano il paese alla ricerca di prospettive di vita più interessanti.
La fabbrica è luogo di lavoro, ma anche incubatrice di conflitti. È una prospettiva che emerge distintamente dal contributo di Monia Colaci, dedicato alla lotta delle operaie della Lebole di Arezzo contro una organizzazione del lavoro che in nome della produttività toglieva loro spazio di vita. In un diverso contesto, sono temi che si ritrovano nelle carte di militanti sindacali, qui analizzate da Dino Barra, che racconta la lotta alla nocività del lavoro e il lento emergere della consapevolezza del nesso tra condizioni di vita dentro e fuori la fabbrica, due aspetti inscindibilmente collegati allora come oggi. Temi che, unitamente alle rivendicazioni in materia di salario e condizioni di lavoro, sono al centro dei fogli sindacali, fonte preziosa per una storia del lavoro di cui parla Giorgio De Vecchi, a partire dalla ricca collezione di questi giornali conservata in ISEC, oggi digitalizzata e consultabile on line.
Di fabbrica e lavoro parlano, da diverse prospettive, anche gli altri contributi di questo numero. Primo Ferrari si confronta con un tema difficile, quello del disegno tecnico industriale. Gli archivi aziendali conservano decine di migliaia di lucidi di grande formato che documentano le diverse fasi del prodotto, dal progetto alla realizzazione finale. Disegni rivelatori di una capacità tecnica invidiabile che, a saperli interrogare, potrebbero dirci molto sulle culture tecniche che si confrontavano in fabbrica: ingegneri, periti, disegnatori, facce di un poliedro molto articolato, non sempre adeguatamente compreso. Chiudo questa presentazione ricordando i contributi di Alessandra Rapetti e di Alberto De Cristofaro, dedicati a momenti esterni al lavoro, ma intimamente legati alla vita in fabbrica, le attività sportive e la pausa pranzo. La promozione dello sport è uno dei momenti chiave nell’organizzazione del tempo libero dei dipendenti da parte di imprese interessate a rendere più solida l’identità aziendale. Nelle politiche di welfare rientra in una certa misura anche l’offerta di locali attrezzati dove consumare i pasti e, in seguito, dei servizi di mensa. Una vicenda che intreccia storie diverse e che ha rappresentato uno dei pochi momenti di libertà all’interno dell’ambiente normato della fabbrica.
Invitando alla lettura, speriamo che i lettori possano raccoglierne lo spirito narrativo e corale di questa Newsletter. E proprio per sottolineare questa intenzione, abbiamo deciso di rinominare questo nostro appuntamento periodico «ISECracconta».
Ai tanti che ci seguono faccio i migliori auguri per un periodo di pace e tranquillità, per quanto lo consentano i venti di guerra da cui siamo circondati, dando appuntamento al nuovo anno con un programma di attività come sempre vario e interessante.
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