Il lavoro tra nocività e lotte per la salute
Di Dino Barra
Diversi anni fa la Fondazione si era occupata del problema della sicurezza del lavoro in fabbrica pubblicando nei suoi Annali un articolo sulla situazione alla Falck¹. Da allora molta documentazione si è accumulata e nel 2022 si è ritenuto fosse opportuno, anche in relazione al drammatico ripetersi di incidenti sul lavoro (oltre un migliaio di morti all’anno senza dimenticare le migliaia di feriti più o meno gravi) raccordare i diversi fili documentari in una mostra², di cui quest’anno grazie a un finanziamento del MIC siamo riusciti a pubblicare il catalogo.
In questo nuovo capitolo del nostro viaggio all’interno del patrimonio di ISEC, dedicato questa volta alla Fabbrica non poteva pertanto mancare un affondo sul tema della sicurezza e della salute, anche perché a Sesto San Giovanni si sono avute alcune esperienze pionieristiche come quelle che hanno portato alla nascita dei primi SMAL (Servizi di Medicina per gli Ambienti di Lavoro).
Meritevoli di particolare interesse, anche per la loro diversità, ci sono parsi due fondi, relativi rispettivamente alla Falck (fondo Fusi) e alla Carboloy di Baranzate di Bollate, azienda multinazionale attiva nel settore della produzione di utensileria per macchine utensili (fondo Visco Gilardi). In ambedue i fondi, che coprono un arco cronologico diverso, è presente documentazione riguardante il problema della tutela della salute sul posto di lavoro, un argomento che si impone all’impegno sindacale non soltanto per via delle caratteristiche produttive dei due stabilimenti ma anche per ragioni di ordine più ideale.
Falck di Sesto San Giovanni, anni Cinquanta
Il fondo Camillo Fusi ci restituisce uno spaccato importante delle attività sindacali nei decenni precedenti l’esplosione delle lotte operaie di fine anni Sessanta. Si tratta di volantini, verbali di riunioni della Commissione interna, corrispondenza: un insieme di documenti che danno conto delle tensioni e delle vertenze che davano voce al conflitto tra lavoratori e impresa in ordine a salari, qualifiche, vertenze e scioperi. All’interno del fondo si conserva anche un bollettino con l’elenco degli incidenti in fabbrica, la descrizione delle dinamiche e l’individuazione delle responsabilità. Questo bollettino restituisce con grande immediatezza la gravità del problema. È interessante da leggere perché permette di comprendere la tipologia degli incidenti nel contesto dell’organizzazione del lavoro dei diversi reparti. L’informativa è a cura del CPI, Comitato Prevenzione Infortuni, un organismo di fabbrica espressione della direzione con una modesta presenza sindacale al proprio interno, e questo spiega perché nella descrizione degli incidenti si tenda soprattutto a rimarcare le presunte inadempienze dei dipendenti (vertenze sindacali successive chiederanno l’ingresso di rappresentanti sindacali in questo organismo).
Gli anni coperti dalla documentazione sono quelli del miracolo economico quando l’ingresso in fabbrica di migliaia di operai e l’accelerazione dei ritmi provocano un aumento degli incidenti, come attestano le statistiche dell’Inail. Anche alla Falck gli incidenti diventano più frequenti costituendo un elemento di forte tensione all’interno dei reparti. Tensione amplificata all’esterno dall’Unità e dalla propaganda sindacale.
La direzione cerca di arginare il fenomeno attraverso la capillare diffusione di opuscoli contenenti norme antinfortunistiche, corredati da disegni volti a rafforzare in chi li guarda l’idea che all’origine di un incidente ci sia soprattutto il mancato rispetto delle regole da parte del lavoratore. In proposito la documentazione riporta anche numerosi casi di operai nei confronti dei quali in seguito a ripetuti incidenti vengono adottati provvedimenti punitivi. Mentre al contrario chi non si infortunava poteva essere oggetto di misure premiali.
Gradualmente, di fronte all’aggravarsi del fenomeno, vengono prese misure più incisive della semplice iterazione di cartelli e slogan antinfortunistici.
È del 22 novembre 1955 una disposizione aziendale che impone ad alcune categorie di lavoratori all’interno dello stabilimento Vittoria l’adozione di particolari indumenti e strumenti di protezione, pena il pagamento di forti ammende. Il documento è interessante perché, oltre a dar conto delle misure in tema di sicurezza del lavoro, restituisce un quadro della pericolosità di alcune lavorazioni.
Il punto di vista dei lavoratori è diverso. In un rapporto manoscritto del 1956 da mandare a una Commissione di inchiesta (forse la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle condizioni dei lavoratori in Italia) il suo autore, presumibilmente lo stesso Camillo Fusi in qualità di presidente della Commissione Interna, denuncia le responsabilità aziendali: l’alto numero di incidenti ha origine dal ritmo della produzione, dalla mancanza di operai che obbliga a un aggravio di lavoro, dall’angustia degli spazi in cui si è costretti a lavorare; gli operai che denunciano questa situazione subiscono la repressione aziendale (trasferimenti di reparto, mancate promozioni, ecc.), mentre ai membri della Commissione Interna viene proibito di girare per i reparti e intervenire sulle situazioni più gravi; l’impegno del CPI “è molto relativo e poco efficace in quanto è basato sulla propaganda troppo pubblicitaria”.
È presumibile che il rapporto, nel parlare di “propaganda pubblicitaria” si riferisca, tra l’altro, al tipo di iniziative aziendali sotto riportate che, per ammissione dello stesso CPI, non ottengono i risultati sperati sotto il punto di vista della diminuzione degli incidenti.
Quello che, in altri termini, il rapporto di Fusi denuncia è l’assenza di interventi sulle cause strutturali degli incidenti, in primo luogo l’organizzazione del lavoro. D’altronde, il momento politico sindacale non è favorevole: gli anni Cinquanta sono anni di forte attacco alla capacità rivendicativa dei lavoratori e l’attenzione del movimento è tutta rivolta alla difesa del salario, delle prerogative delle Commissioni interne, dei diritti sindacali. L’articolo de «l’Unità» sotto riportato dà il senso del clima che in quegli anni si vive nella Falck e nelle altre grandi fabbriche del Nord.
Carboloy di Baranzate di Bollate: il nuovo clima degli anni Settanta
Molto diverso è il quadro offerto dalla documentazione contenuta nel Fondo Carboloy, in buona parte relativa agli anni Settanta. La documentazione risente, come è ovvio, del clima di forte conflittualità che attraversa il mondo del lavoro in quel periodo che lega il tema della difesa della salute in fabbrica alla critica del capitalismo e dello sfruttamento. Si parla con chiarezza di lotta per il diritto alla salute e la lotta per questo diritto diventa espressione e aspetto specifico del più generale processo di liberazione della classe operaia dal capitalista oppressore.
In termini contrattuali, ne discende una maggiore centralità del tema salute nelle vertenze, una minore disponibilità a monetizzare le conseguenze negative del lavoro di fabbrica sulla salute e una spinta rivendicativa che chiede interventi per modificare l’organizzazione del lavoro e per eliminare le cause strutturali della nocività nei reparti.
A gestire le lotte per la salute nella Carboloy è il Consiglio di fabbrica che costruisce un rapporto di collaborazione, che a giudicare dalle carte appare forte, con le agenzie della ricerca scientifica – in questo caso, l’Università Statale di Milano e la Clinica del Lavoro “Luigi Devoto”, sin dal 1910 all’avanguardia nello studio delle malattie del lavoro e delle politiche di prevenzione - e gli organismi pubblici di controllo delle condizioni e degli ambienti di lavoro come il Consorzio per la vigilanza igienico sanitaria afferente al territorio di Bollate e dintorni.
Numerose sono le relazioni stilate da queste agenzie sulle condizioni di lavoro nei diversi reparti della Carboloy, a seguito di ispezioni spesso sollecitate proprio dal Consiglio di fabbrica.
Qui di seguito, riportiamo alcuni stralci di queste relazioni: esse mettono a nudo la drammaticità delle condizioni in cui gli operai sono costretti a lavorare, e avanzano proposte operative per rimediare ai problemi rilevati che diventano spesso oggetto di vertenza interna con la Direzione.
L’importante novità introdotta in queste ispezioni è il rilievo dato alla “raccolta della soggettività operaia mediante i gruppi operai omogenei”:
«Secondo la metodologia di indagine da noi seguita, la successiva fase dell’intervento si è articolata sulla raccolta della soggettività operaia. Infatti, è al gruppo operaio omogeneo che spetta l’individuazione non solo dei fattori di nocività tradizionali (fumi, gas, polveri, rumore, ecc.) ma anche l’analisi collettiva delle loro cause legate all’organizzazione del lavoro e, successivamente, l’elaborazione delle piattaforme rivendicative su tali problemi. Ribadiamo pertanto che i rilievi oggettivi sono subordinati al giudizio del gruppo omogeneo e vanno considerati secondo le esigenze e le denunce da essi espresse, e che mai potrebbero essere usati come sostitutivi della elaborazione collettiva del gruppo omogeneo»³.
I lavoratori interpellati spesso denunciano disturbi legati alla temperatura del reparto, calda d’estate e fredda d’inverno, alla presenza di gas e vapori che provocano irritazione delle vie respiratorie, all’eccessiva presenza di polveri, all’eccessivo livello del rumore. Non di rado il punto di vista operaio mette a nudo la monotonia del lavoro, gli orari troppo compressi e i disagi derivanti dal pendolarismo, dalle abitazioni piccole, ecc. finendo per offrire un quadro globale della condizione operaia di quegli anni che aiuta a definire meglio anche le problematiche legate alla salute.
Quel che colpisce in questo impegno del Consiglio di Fabbrica è l’importanza data alla conoscenza scientifica, una conoscenza scientifica capace di tenere conto del punto di vista operaio: il rapporto con i tecnici, i medici, gli operatori igienico sanitari fuori dalla fabbrica è costante non solo nel senso della collaborazione sulle attività ispettive. A questi “tecnici” il Consiglio di fabbrica chiede di aiutare i lavoratori ad acquisire conoscenze in grado di attivare comportamenti di prevenzione o anche di rivendicare il diritto alla salute quand’esso non viene rispettato. Il fascicolo sul rumore, di cui proponiamo il frontespizio, risponde a questi obiettivi, e anche l’organizzazione di corsi per delegati sindacali sui temi della nocività in fabbrica, organizzati con i medici del Comitato Sanitario di Zona.
È evidente in questo tipo di documentazione l’eco di esperienze importanti di quel periodo sul tema del rapporto tra sapere operaio e sapere specialistico legate alla rivista Sapere o a Medicina Democratica o all’impegno di figure come Giulio Maccacaro e Luigi Mara⁴.
Nelle carte di Visco Gilardi c’è, infine, l’apertura del Consiglio di Fabbrica a un impegno sulle tematiche ambientali territoriali. È una scelta obbligata. Nel gennaio e poi nel novembre del 1977 si verificano fughe di tetracloruro di titanio che producono nubi tossiche che mettono a rischio la salute della popolazione. Siamo all’indomani della tragedia di Seveso, avvenuta nel 1976. Il Consiglio di fabbrica denuncia tutte le inadempienze dell’azienda che possono essere state all’origine di questi episodi e i destinatari della denuncia sono il Comune di Bollate, il servizio di Medicina del lavoro, tutti i lavoratori. È una presa di posizione pubblica forte, che richiama alla difesa della salute dei lavoratori, dei cittadini e anche al “rispetto delle risorse naturali”. Un’apertura della cultura operaia alle tematiche ambientali sicuramente indicativa, che conoscerà, tuttavia, sviluppi contrastanti a causa della difficoltà di tenere insieme tutela dell’ambiente e difesa del posto di lavoro.
Note
P. Patané, Prevenzione infortuni tra paternalismo e repressione: il caso della Falck negli anni Cinquanta, in Annali 5, Istituto milanese per la storia dell'età contemporanea, della resistenza e del movimento operaio-Franco Angeli, 2000, pp. 185-209.
La mostra “Lavoro? Sicuro! Prevenzione, comunicazione, protesta nel 900” è stata realizzata da Fondazione ISEC in collaborazione con il Musil di Brescia e l’Archivio del lavoro di Sesto San Giovanni, su progetto dello Studio + Fortuna di Trieste. Dopo una prima edizione nella sede di Fondazione ISEC, la mostra è stata trasferita a Roma (Museo di Storia della Medicina dell’Università la Sapienza) e sarà ora allestita a Reggio Emilia (Spazio Gerra, 1 febbraio - 21 marzo 2025) e in seguito presso la Fondazione Dalmine (3 aprile-30 novembre 2025). L’apparato iconografico della mostra è confluito nel 2024 in Lavoro, sicurezza e salute nell’Italia delle fabbriche, volume collettivo edito da Mimesis e curato, come la mostra, da Giorgio Bigatti, direttore scientifico di Fondazione ISEC.
Da una relazione del Consorzio per la Vigilanza Igienico Sanitaria, ca. 1973.
Di Luigi Mara, tecnico della Montedison di Castellanza e protagonista delle lotte contro la nocività sui posti di lavoro, e dell’incontro tra i temi della salute in fabbrica e ricerca scientifica che ebbe in Giulio Maccacaro e nella rivista Sapere i suoi esponenti più significativi, parla Sergio Fontegher Bologna nel libro Lavoro, sicurezza e salute, già citato.
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