Dopolavoro e sport popolare nelle grandi fabbriche di Sesto

Di Alberto De Cristofaro

Campo sportivo Breda, 1942

Il binomio tra sport e fabbrica compreso nel titolo dato a questo articolo potrebbe apparire ai giorni nostri totalmente fantasioso, perlomeno stravagante ai più. Eppure, per gran parte del XX secolo, è stata una realtà concreta, almeno se consideriamo le imprese più rilevanti del nostro paese. A partire dagli anni Venti all’interno di tutte o pressoché tutte le grandi industrie furono creati dei gruppi sportivi e furono realizzati impianti sportivi anche di notevoli dimensioni. Tutto ciò ovviamente rispondeva a diversi, ma convergenti, impulsi: da un lato vi era la spinta per così dire politico-ideologica che proveniva dal nuovo regime che dal 1922 si era imposto nel nostro paese: per il fascismo infatti lo sport fu per tutto il corso della sua permanenza al potere uno straordinario veicolo di mobilitazione delle masse e di acquisizione del consenso, rispondendo per altro al proposito mussoliniana di voler costruire i nuovi italiani, forgiati dal lavoro e dagli agoni sportivi e pronti così per i preannunciati e mai camuffati cimenti guerreschi, che soli avrebbero dovuto formare la nuova stirpe italica. D’altro canto, è pur vero che il tempo libero “sembra così nascere ufficialmente all’indomani della prima guerra mondiale, accompagnato dalla riduzione dell’orario di lavoro a 48 ore settimanali, dalla introduzione del sabato inglese anche in Italia e dall’avvio delle prime embrionali forme di consumo di massa”¹. Nel mondo delle imprese d’altra parte già dal 1919, ben prima quindi dell’avvento del fascismo e della legge che istituì la giornata lavorativa di 8 ore (1923), si era fatta strada l’idea che fosse opportuno affrontare il tema della gestione del tempo libero dei lavoratori:

«Il progetto iniziale era improntato al modello americano e fu presentato da Mario Giani, un dirigente della Westinghouse di Vado Ligure, società elettrica impegnata nel settore ferroviario, che propose di favorire l’istituzione di strutture dopolavoristiche legate alle aziende.

Il piano prospettato da Giani […] era volto a incrementare l’installazione presso le aziende di servizi ricreativi sul modello già diffuso altrove del paternalismo anglosassone»².

Frontespizio del volume I dopolavoro aziendali in Italia, 1938

Tra esigenze che emergevano dal basso e spinte politiche che agivano dall’alto si inseriva quindi l’attività delle imprese. Dopo la creazione, nel 1925, dell’Opera nazionale dopolavoro (Ond) furono moltissime le aziende, soprattutto quelle di grandi e medie dimensioni, che diedero vita a propri dopolavoro aziendali, in cui le maestranze potevano avere l’opportunità di svolgere attività di vario tipo, sportive e culturali latu sensu³. Se è vero poi che il periodo d’oro delle attività sportive culturali ludiche all’interno delle imprese furono gli anni Trenta, è altresì vero che esse non si esaurirono con la caduta del regime fascista e la fine della seconda guerra mondiale. Esse anzi furono riprese nel dopoguerra, sebbene non più come emanazione di un organismo centrale statale, bensì per iniziativa esclusiva delle singole imprese.

All’interno dell’Archivio della Fondazione ISEC sono numerose le testimonianze documentarie che dànno conto di questa storia. Volendoci soffermare sull’aspetto sportivo, ecco che le sezioni fotografiche degli archivi storici Breda ed Ercole Marelli e gli House Organ delle Acciaierie e ferriere lombarde Falck e della E. Marelli ci raccontano vicende che giungono sino agli anni Settanta del secolo scorso.

Come premessa si può dire che, perlomeno per quel che riguarda la città di Sesto San Giovanni, lo sport inteso come fenomeno di massa, sia per quel che attiene la partecipazione diretta che per quel che riguarda la fruizione indiretta nacque proprio sull’onda delle attività create e incentivate dalle grandi imprese che, a partire dall’inizio del nuovo secolo, avevano inaugurato grandi e moderni stabilimenti proprio a Sesto. Breda, Marelli e Falck segnarono profondamente la vita di quello che sino alla fine dell’Ottocento non era altro che un piccolo borgo agricolo di poche migliaia di abitanti. Nel giro di un ventennio la configurazione urbana e antropologica di Sesto mutò profondamente con l’arrivo di migliaia di lavoratori da altre province lombarde e da altre regioni d’Italia⁴.

Sesto San Giovanni nel 1888, fondo Parviero

Le grandi aziende testé citate si fecero parte attiva, insieme all’amministrazione comunale, dei problemi generati da un tale massiccio afflusso di maestranze, in ordine soprattutto alla necessità di costruire alloggi che potessero ospitare i nuovi sestesi e le loro famiglie. Risolte poi le problematiche più stringenti, nuove esigenze si affacciarono nel panorama cittadino e tra queste anche la necessità di offrire ai lavoratori e alle loro famiglie delle possibilità di impiego del tempo libero. Con i dopolavoro aziendali sorsero dunque, fra l’altro: le colonie marine e montane per i figli dei dipendenti, ma anche le colonie elioterapiche per i dipendenti con problemi di salute; le bibliotechine aziendali con servizio di prestito (e in ISEC si conserva la biblioteca del Dopolavoro Breda, che conta alcune centinaia di volumi, soprattutto di narrativa italiana e straniera); gli spacci di alimentari con prezzi calmierati; le gite sociali riservate agli iscritti, ecc.

Consegna di pacchi natalizi presso il Dopolavoro Breda, dic. 1936

Per restare sulle maggiori aziende sestesi e per fornire alcune informazioni di carattere più generale possiamo dire che la Breda, azienda che aveva stabilimenti oltre che a Sesto anche a Brescia, Mestre, Roma, aveva propri dopolavoro in ognuna di queste località; la Ercole Marelli aveva un Dopolavoro in cui “funziona una mensa per gli impiegati; si svolgono periodicamente rappresentazioni teatrali e cinematografiche, mentre nella palestra i giovani si cimentano negli sport preferiti quali la scherma e la ginnastica. Esiste inoltre una biblioteca circolante […] Sono stati inoltre creati: un ampio campo sportivo, campi di tennis, giochi di bocce, pattinaggio, ecc.”⁵; la Falck aveva cinque dopolavoro: a Sesto, a Vobarno, a Dongo, a Piateda per gli impianti idroelettrici in Valtellina e a Teglia per gli impianti idroelettrici in Lunigiana. Il più importante tra questi era il Dopolavoro di Sesto, che fu costituito nel 1927 e che nel 1938 contava 4.000 iscritti. Tra gli sport praticati: calcio, ginnastica, tamburello, atletica, bocce, ciclismo, tennis, tiro a segno, tiro alla fune, scherma⁶.

Un panorama assai variegato di attività dunque che per decenni dovettero animare i fine settimana dei sestesi, sia che fossero protagonisti di gare sportive o di campionati, sia che seguissero da spettatori gli eventi e che hanno lasciato una traccia significativa, come detto in precedenza, nei documenti conservati presso la Fondazione ISEC.

Note

  1. Aldo Marchetti, “Alcuni aspetti della genesi del tempo libero”, in Istituto milanese per la storia della Resistenza e del movimento operaio (a cura di), Tempo libero e società di massa nell’Italia del Novecento, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 103.

  2. Elena Vigilante, L’Opera nazionale dopolavoro. Tempo libero dei lavoratori, assistenza e regime fascista, 1925-1943, Bologna, il Mulino, 2014, p. 23.

  3. Per una panoramica completa dei dopolavoro aziendali in Italia resta fondamentale il volume curato dalla Direzione generale dell’Ond, I dopolavoro aziendali in Italia, Roma, a cura dell’Autore, 1938.

  4. Sugli albori dell’industrializzazione a Sesto San Giovanni e sulle attività “sociali” delle imprese si veda in particolare Luigi Trezzi (a cura di), Sesto San Giovanni, 1880-1921. economia e società: la trasformazione, Milano, Skira, 1997. Uno strumento agile di consultazione è invece quello pubblicato dall’Istituto milanese per la storia dell’età contemporanea (a cura di), La città delle fabbriche. Viaggio nella Sesto San Giovanni del ‘900, Cinisello Balsamo, Arti grafiche Amilcare Pizzi, 2002. Per una panoramica sulla storia sindacale e sociale della città nel contesto italiano si veda Saverio Paffumi (a cura di), Per chi suona la campana. Sesto San Giovanni e le sue fabbriche in 100 anni di storia sindacale e sociale del paese, Roma, Ediesse/Futura, 2020.

  5. Ond, I dopolavoro aziendali…, cit., p. 1244.

  6. Ivi, p. 673.

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