Meridionali e non solo.
Sguardi sulla condizione migrante a Milano nel secondo dopoguerra.
Di Dino Barra
Vito, 46 anni, viene dal Veneto. “Quando ho visto che non ero più capace di sostenere la famiglia, ho deciso. Ho sentito per voce di popolo che recarsi a Milano, a Torino, si trovava più lavoro e m’ho deciso di abbandonare il paese…L’è sta il 18 gennaio 1955 e son arrivà a Milano con vento e neve, e ho comincià a cercà lavoro con vento e neve….dopo, al terzo giorno lavoro sotto la ditta ING.R. di Milano; e qua tutto a posto, in regola come che marcia el mondo…e lavorare otto ore. Dopo le otto diceva: “Volete lavorare a contratto?”. “Sicuro!” tanto io ero abituato a lavorare dalla mattina alla sera. Per dormire dormivo in cantina nelle case in costruzione. L’impresa mi dava il permesso…
Ruggero, 52 anni, viene da Giovinazzo, in provincia di Bari. “Arrivai a Milano, e poi mi recai a Sesto perché sapevo che il centro era Sesto per la siderurgia. A Sesto c’erano quelle fabbriche erano famose, c’era la Breda, la Falk e io cerco di intrufolarmi…Però io riuscii a occuparmi presso la ditta Breda. Dopo sette mesi, mangiavo mandorle che mi aveva portato da casa e riuscii a racimolare qualche soldo per chiamare la moglie e il bambino….Il milanese come tipo da una parte lo trovo buono ma da una parte no perché quel che guadagna spende e domani deve andare alla Baggina. Noi questo siamo lontanamente nemici…Dal 1952 dopo comprato la terra ho cominciato a farmi uno sgabuzzino…lo facevo sempre dopo le ore di lavoro, di domenica, le feste, gli scioperi e le ferie. Ci ho messo tre mesi a fare lo sgabuzzino. Dopo lo sgabuzzino nel 1953 ho realizzato lo scavo della cantina…”
Sono stralci presi da due delle 32 storie di vita raccolte da Franco Alasia, operaio della Breda e amico di Danilo Dolci, poi riadattate dal sociologo Danilo Montaldi, che compongono il libro Milano Corea, Feltrinelli, 1960, riedito da Donzelli nel 2010. Questo libro, e anche quello che riguarda l’esperienza migratoria interna a Torino di cui è autore Goffredo Fofi - L’immigrazione meridionale a Torino, Feltrinelli, 1964 – entrambi conservati presso la biblioteca di Fondazione ISEC – sono importanti. Più che sui dati quantitativi e le ricostruzioni “oggettive” del fenomeno, essi insistono sugli aspetti soggettivi, le motivazioni, le condizioni di vita e di lavoro, i quadri mentali, le trasformazioni culturali.
Tra il 1951 e il 1971 il numero di persone che in Italia si sposta alla ricerca di casa e lavoro supera i 9 milioni (P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Torino, 1989). Si tratta di migrazioni che non seguono solo la direttrice sud-nord ma anche quella est-ovest. Sia nell’uno che nell’altro caso ci si trova di fronte a un enorme travaso di persone dalle campagne alle città. Le prime tendono a svuotarsi, le seconde si espandono con un’accelerazione mai conosciuta in passato.
A Milano, tra il 1951 e il 1961 si trasferiscono circa 300.000 persone. Nell’arco del ventennio 1951-1971 il capoluogo lombardo vede aumentare la sua popolazione di oltre 450.000 unità. Incrementi percentuali ancora più marcati si verificano nei paesi dell’hinterland. Val la pena di sottolineare che, contrariamente a quanto si potrebbe credere, gli immigrati a Milano dalle regioni meridionali sono una minoranza: il 17% nel periodo 1952-1957, passati al 30% circa negli anni 1958 – 1963. Un contrasto, quello tra dati reali e percezione del fenomeno, che avrebbe molto da suggerire anche alla comprensione delle migrazioni attuali.
Le grandi città, e Milano è tra queste, si trovano impreparate a fronteggiare flussi migratori di questa portata. Le condizioni di vita degli immigrati sono drammatiche non tanto o non solo sotto il profilo lavorativo ma anche per quel che riguarda la casa, la scuola, l’assistenza sanitaria.
Il fotogiornalismo di quegli anni, impegnato sul fronte della denuncia sociale, documenta soprattutto questo dato. La Fondazione ISEC custodisce un archivio importante da questo punto di vista, l’Archivio fotografico della redazione milanese dell’Unità, un ricco deposito di immagini del capoluogo lombardo (e non solo) del secondo dopoguerra. La sola sezione Cronaca nera, Cronaca bianca, Politica interna contiene oltre 26.000 immagini che documentano lo sviluppo urbanistico controverso di Milano e del suo hinterland.
È un patrimonio da prendere con cautela. Esso proviene da un giornale, L’Unità, espressione del PCI, il principale partito di opposizione di quegli anni. Chi fotografa per quel giornale vuole denunciare le contraddizioni del capitalismo e sollecitare politiche di redistribuzione della ricchezza a vantaggio della classe lavoratrice. La rappresentazione della condizione migrante è un’occasione da non perdere, ma essa viene declinata in chiave prevalentemente pauperistica trascurando l’altro aspetto di quell’esperienza, la spinta emancipatrice e la maggiore mobilità sociale che essa finisce per garantire a tanti.
Nonostante questo limite (accompagnato anche da una certa trascuratezza per l’aspetto estetico), le immagini di questo archivio sono importanti per chiunque voglia occuparsi di storia milanese (italiana) del secondo dopoguerra. Il contenuto di queste foto è di forte valore civile: ha a che fare con il consolidamento di una memoria storica davvero in grado di comprendere e relativizzare senza demonizzazioni alcuni aspetti della condizione migrante oggi.
Dalle foto dell’archivio della redazione milanese dell’Unità nasce nel 2010 È un meridionale però ha voglia di lavorare, Milano, 2011: la parte introduttiva di inquadramento storico (con i dati sull’immigrazione milanese sopra riportati) è curata da Giorgio Bigatti, la selezione e spiegazione del racconto fotografico è affidata alla cura di Uliano Lucas e Tatiana Agliani mentre Alberto De Cristofaro e Primo Ferrari, archivisti di ISEC, spiegano i contenuti dell’archivio fotografico della redazione milanese dell’Unità.
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