Nora Radice
All’epoca della strage di Piazza Fontana, Nora Radice era una giovane lavoratrice di ventuno anni. Aveva lasciato la scuola e lavorava come impiegata in un’azienda di vernici; parallelamente era già attiva politicamente, iscritta alla Federazione Giovanile Comunista.
Con quali criteri ISEC ha deciso di intervistare Nora Radice?
ISEC ha voluto approfondire l’impatto che la strage e gli eventi dei giorni successivi ebbero sulla sua decisione di impegnarsi politicamente e istituzionalmente e iìlo specifico percorso di una giovane donna e militante politica. Come emerge dall’intervista, quell’esperienza segnò profondamente il suo percorso: negli anni successivi partecipò con continuità alla vita politica locale, diventando consigliera comunale a Muggiò e poi consigliera provinciale.
Riflettendo su più di cinquant’anni, in che modo quella vicenda ha inciso sulla sua formazione e sul successivo impegno politico e istituzionale?
L’influenza di quell’evento fu molto profonda, ben oltre la forte emozione dei funerali e della grande partecipazione popolare. Nel periodo immediatamente successivo, nel tentativo di comprendere la portata di quanto accaduto, maturò l’impressione che l’obiettivo di forze più o meno manifeste fosse quello di bloccare il “vento di speranza” che animava studenti e mondo operaio, decisi a partecipare e a rivendicare un ruolo da protagonisti nel cambiamento sociale.
Anche nel successivo lavoro all’interno delle amministrazioni, rimase viva la sensazione — maturata dopo la strage — della necessità di ridurre la distanza tra istituzioni e cittadini. Pur senza poter dire se questa esigenza derivi unicamente dall’esperienza del 1969 o da un clima storico più ampio, essa ha accompagnato la sua visione del ruolo pubblico.
Come è cambiata, nel tempo, la riflessione sui fatti di Piazza Fontana? Che cosa distingue la consapevolezza di allora da quella di oggi?
Radice osserva che all’epoca era più diffusa la consapevolezza dell’esistenza di forze oscure intenzionate a destabilizzare il Paese; di conseguenza, la partecipazione civica era ampia e sentita. Oggi esiste ancora un nucleo di persone molto impegnate — in particolare nelle associazioni legate alla memoria della Resistenza — che vive quei fatti con partecipazione attiva.
Molti altri, invece, li conoscono soprattutto attraverso una memoria “mediata”, trasmessa dalla televisione o da commemorazioni superficiali. A ciò si aggiunge un deficit di attenzione da parte dei partiti, delle organizzazioni sindacali e, soprattutto, delle istituzioni, che non hanno saputo comunicare adeguatamente alle generazioni più giovani il significato della strage di Piazza Fontana e degli eventi successivi (come Piazza della Loggia o la stazione di Bologna). Questa insufficienza di cura e di responsabilità pubblica ha favorito una memoria sempre più passiva e distante.