Guido Lorenzon

Guido Lorenzon era al tempo della strage di Piazza Fontana un insegnante ventinovenne di lettere presso la scuola media di Maserada sul Piave, in provincia di Treviso. Impegnato nella vita politica locale come segretario comunale della Democrazia Cristiana, Lorenzon si trovò improvvisamente a essere testimone diretto della strage che segnò l’inizio della Strategia della Tensione. Proveniente da un contesto provinciale apparentemente distante dai centri nevralgici della politica e della violenza eversiva, Lorenzon divenne una figura chiave per la comprensione di uno degli eventi più segnanti della storia repubblicana.

Qual è il rapporto di Guido Lorenzon con la strage di Piazza Fontana?

Lorenzon rappresenta una testimonianza diretta e cruciale: vicino a Giovanni Ventura e Franco Freda, figure chiavi di Ordine Nuovo, era a conoscenza dell’esistenza di armi, timer e materiali sospetti appartenenti all’associazione eversiva di estrema destra che, in seguito allo scoppio della bomba, gli fecero intuire un possibile collegamento con i fatti di Milano. Pur inizialmente trattenuto dalla paura e dal timore di ripercussioni personali, maturò la decisione di portare la sua testimonianza davanti ai giudici, spinto da un senso civico e morale profondo.

Con quali criteri ISEC ha deciso di intervistare Guido Lorenzon?

La voce di Lorenzon è essenziale perché la sua scelta di collaborare con la magistratura fu determinante per l’apertura della cosiddetta pista nera, che segnò una svolta nelle indagini e nella percezione pubblica della strage di piazza Fontana. Il suo contributo si pone come atto di verità e di giustizia, in un contesto in cui Milano e l’Italia erano profondamente divise e condizionate da una diffusa manipolazione dell’informazione.

In quale momento Lorenzon decise di testimoniare?

La decisione maturò in un momento preciso: durante i funerali delle vittime di Piazza Fontana. Lorenzon, profondamente colpito dall’intensità emotiva e civile di quella piazza gremita, mostrò ai propri studenti la cerimonia in diretta, riconoscendo in essa un richiamo morale ineludibile. Quell’esperienza lo spinse a vincere la paura e a comunicare alle autorità quanto sapeva. Egli stesso ha raccontato di essersi sentito solo, lontano dall’epicentro milanese, ma comunque incoraggiato dal sentimento collettivo di dolore e di dignità espresso dal popolo italiano riunito in piazza del Duomo.

Quale consapevolezza conserva oggi l’Italia, a oltre cinquant’anni dai fatti?

Lorenzon ritiene che, nonostante i procedimenti giudiziari abbiano infine attribuito la responsabilità della strage a Ordine Nuovo, il disegno politico voluto dall’estrema destra sia riuscito, destabilizzando con successo la democrazia attraverso la paura collettiva. A suo giudizio, l’obiettivo di lasciare impuniti i responsabili per favorire un terrore collettivo che facesse da terreno fertile a progetti antidemocratici si è in parte realizzato.

Tuttavia, egli riconosce che la democrazia italiana, pur ferita, ha resistito grazie alla forza delle istituzioni e dei valori costituzionali. Oggi Lorenzon continua il proprio impegno educativo, incontrando studenti e testimoniando l’importanza della memoria civile. Nei giovani vede una generazione attenta e desiderosa di verità, segno che la Costituzione continua a rappresentare il patto che unisce i cittadini oltre le divisioni politiche.