Giorgio Oldrini
Figlio di un ex deportato per motivi politici, divenuto poi Sindaco di Sesto San Giovanni dal 1946 al 1962, Giorgio Oldrini fu tra i giovani che oltre cinquant’anni fa avviarono l’esperienza dell’Istituto milanese per la storia della Resistenza e del movimento operaio di Sesto San Giovanni – ISRMO (oggi Fondazione ISEC). Giornalista, ha lavorato per 23 anni all’Unità, molti dei quali come corrispondente dall’America Latina (1975–1984), e per 12 anni a Panorama. Come il padre, è stato Sindaco di Sesto San Giovanni per dieci anni, dal 2002 al 2012. Attualmente è Direttore di Triangolo Rosso, rivista dell’Associazione degli ex Deportati politici nei campi nazisti.
Qual è il rapporto di Giorgio Oldrini con la strage di Piazza Fontana?
Giorgio Oldrini fu testimone diretto di quei giorni, come giovane giornalista dell’Unità. Il giorno della strage arrivò in Piazza Fontana quando ancora si parlava dello scoppio della caldaia. Inoltre, come attivista politico, partecipò all’organizzazione della manifestazione dei lavoratori che da Sesto San Giovanni raggiunsero a piedi, in silenzio, Piazza Duomo per i funerali del 15 dicembre 1969.
Con quali criteri ISEC ha deciso di intervistare Giorgio Oldrini?
Si tratta di un testimone particolare, per la professione svolta poi nel tempo ed anche perché per molti anni residente in una area particolarissima del pianeta. In particolare, si è inteso indagare come tali eventi siano riemersi durante la sua attività professionale in America Latina, soprattutto nel confronto con contesti segnati da violenze politiche e repressioni di massa in una fitta trama di relazioni, complicità , connivenze con le organizzazioni fasciste italiane, sia quelle direttamente implicate nella strage di Piazza Fontana sia la rete di coperture di cui queste hanno goduto.
Quali sono i ricordi più forti di quei giorni?
Oldrini ricorda le forti tensioni di quel tardo pomeriggio di dicembre davanti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura e il lungo corteo silenzioso dei lavoratori di Sesto verso Piazza Duomo il giorno dei funerali. Richiama inoltre un episodio della sua attività di Sindaco: durante una commemorazione per le vittime del terrorismo, Antonio Pizzinato rievocò la riunione drammatica in cui fu decisa l’organizzazione della grande manifestazione del 15 dicembre. Decisione presa nonostante il timore di un nuovo attentato: “Chi si assunse la responsabilità enorme di quella manifestazione… ha salvato il Paese ed è stato di una visione democratica straordinaria”.
Come, di fronte al tempo che passa, è possibile ricostruire i canali e i percorsi della storia?
Va riconosciuto innanzitutto che una parte fondamentale del movimento democratico e sindacale, in quei momenti drammatici, si collocò dalla parte giusta, difendendo democrazia e libertà. Più delle analisi astratte, sono i fatti e gli esempi concreti a costituire il fondamento per ricostruire quel periodo della storia italiana e per trasmetterne il significato alle generazioni successive.
Com’è cambiata la sua consapevolezza su quel dibattito tra manifestare o no, col passare del tempo e delle responsabilità?
Col tempo, ha compreso sempre meglio la portata della scelta che venne fatta: quella decisione coraggiosa non fu solo una risposta simbolica, ma un vero atto politico collettivo che contribusse a rinsaldare il tessuto democratico del Paese. Quella manifestazione venne assunta da persone che si assunsero un rischio enorme, e solo guardando indietro emerge chiaramente quanto fosse decisiva: era una risposta democratica a un momento di crisi, e la sua importanza va oltre la sua dimensione visiva o emotiva, perché ha avuto un valore fondativo per la democrazia italiana.