Per imparare a suonare il clavicembalo, se ne ho voglia. L’esperienza delle 150 ore a Milano e in Italia
di Dino Barra
C’è un pezzo di storia della scuola italiana - gli anni Settanta – che ha molto a che fare con una vicenda apparentemente lontana, l’esperienza sindacale dei corsi delle 150 ore.
Le 150 ore sono una conquista del contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici del 19 aprile1973, successivamente esteso alle altre categorie di lavoratori e anche ai disoccupati e alle casalinghe. In quel contratto si prevedeva la possibilità per i lavoratori di godere di permessi retribuiti fino a 150 ore (a cui aggiungere altre 150 ore del proprio tempo fuori dall’orario di lavoro) per frequentare corsi di studio finalizzati al conseguimento della licenza media.
Si tratta di una svolta importante nell’ambito delle politiche per l’educazione degli adulti che consentirà a centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici di ritornare sui banchi di scuola per conseguire un titolo di studio utile ai fini della progressione professionale ma anche per rielaborare collettivamente e criticamente la propria condizione sociale.
Il fenomeno non è soltanto italiano. In molti paesi del mondo industrializzato e in via di industrializzazione si avviano nel secondo dopoguerra politiche di acculturazione di massa, certamente con l’obiettivo di adeguare il mercato del lavoro alle esigenze di un sistema produttivo in piena trasformazione tecnologica. Ma è forte anche la riscoperta della cultura come strumento di emancipazione collettiva e di liberazione individuale. Si pensi all’esperienza di Paulo Freire in Brasile, alle campagne di educazione degli adulti in Cile, ai corsi per immigrati in Germania…
Di questo parla Maria Luisa Tornesello, insegnante nei corsi di 150 ore, in un suo prezioso libro, Il sogno di una scuola. Lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta (Pistoia, Petite Plaisance, 2006) conservato presso Fondazione Isec insieme a un ricchissimo fondo (Fondo Maria Luisa Tornesello - Primo Moroni) costituito di volantini, giornalini autoprodotti, riviste, opuscoli, libri sulle sperimentazioni educative di quel decennio.
Il movimento delle 150 ore in Italia rappresenta senza alcun dubbio una delle esperienze più significative e importanti di questa spinta emancipatrice delle classi subalterne attraverso la riappropriazione degli strumenti della cultura.
Fortemente volute dalla Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) di cui erano segretari a quel tempo Bruno Trentin (Fiom- CGIL), Pierre Carniti (Fim – CISL), Giorgio Benvenuto (UILM), le 150 ore ribadiscono l’idea di un diritto universale allo studio slegato da esigenze aziendalistiche, finalizzato al conseguimento di un titolo di studio ma anche e soprattutto all’arricchimento culturale di tutti i lavoratori (la possibilità di imparare a suonare il clavicembalo se lo si desidera, si diceva allora).
E’ forte la consapevolezza che questo obiettivo debba essere perseguito in un dialogo stretto con lo slancio innovatore diffuso in quegli anni nelle scuole italiane a ogni livello, evitando l’arroccamento delle 150 ore in una sorta di scuola-ghetto operaia separata dal resto.
Da questo approccio discendono alcuni motivi ricorrenti dell’esperienza formativa delle 150 ore: la critica alla separatezza e ai meccanismi selettivi della scuola tradizionale, la proposta di nuovi contenuti legati alla concretezza della propria condizione sociale, la sperimentazione di modi dell’apprendimento/insegnamento fondati sui principi della cooperazione educativa, della ricerca sociale, della discussione e della continua problematizzazione dei dati, in un rapporto fertile con le teorie pedagogiche più innovative che si andavano diffondendo nella scuola italiana di ogni ordine e grado (si pensi alla critica alla presunta autorità del manuale come fonte esclusiva di apprendimento delle conoscenze che rimanda al metodo freinetiano dell’autoproduzione dei testi scolastici).
L’obiettivo dei corsi delle 150 ore diventa la costruzione/sperimentazione di una scuola nuova, capace di ridefinire il senso dell’apprendere legandolo alla realtà concreta, all’appropriazione di strumenti di comprensione e rielaborazione critica, all’attivismo del soggetto conoscente. E’ quel che si ricava dal documento sottostante che traccia un bilancio dell’esperienza dei corsi di 150 ore per lavoratori della Falck a tre anni dal loro avvio.
Quella che segue è, invece, la copertina interna di un libro del novembre 1975 che raccoglie i programmi dei corsi per lavoratori per il conseguimento della licenza di scuola media inferiore organizzati dalla Federazione Lavoratori Metalmeccanici di Varese. La pagina riporta schematicamente gli obiettivi generali di questi corsi. All’interno del libro si trovano materiali e letture relative alla storia della scuola e dell’alfabetizzazione, dati sui meccanismi di selezione vigenti e riflessioni sul rapporto scuola-società; e poi, ancora, interventi sui temi del lavoro, della condizione della donna lavoratrice, delle migrazioni interne e internazionali, dove il racconto della propria esperienza è sempre il punto di partenza per percorsi di approfondimento più generali.
I corsi delle 150 ore furono l’occasione per la costruzione di percorsi di conoscenza che mettevano in discussione il tecnicismo dei saperi tradizionali. A questo sforzo contribuirono molte agenzie tra le quali, a Milano, il Cedos – Centro di Documentazione Operatori Scolastici – nato per supportare la FLM milanese nella messa a punto dei corsi e artefice, nell’esempio sotto riportato, di una proposta per l’insegnamento della matematica e delle materie scientifiche che insisteva sulla dimensione diacronica di queste discipline e sui nessi con la riflessione filosofica.
Al Politecnico di Milano, nell’ambito del Seminario chimici, si tenne durante l’anno accademico 1973/74 un controcorso 150 ore su processi produttivi ed organizzazione del lavoro nei cicli di acciaio-piombo alluminio e loro conseguenze sugli ambienti di lavoro dove, accanto ai temi più specificamente tecnici, trovò posto la trattazione di argomenti come le lotte operaie e la nocività in fabbrica.
Tra il 1976 e il 1977 – è sempre Maria Luisa Tornesello a ricordarcelo – si avvia invece a Milano un’esperienza di 150 ore affatto diversa: è lo storico corso di via Gabbro, il primo rivolto espressamente alle casalinghe, tenuto dalla filosofa del pensiero femminista Lea Melandri. Viene richiesto da una ventina di donne di diversa età desiderose, più che di una licenza media, di una formazione culturale personale e di un’occasione di incontro con altre persone. Il corso parte con la partecipazione anche degli operai della Max Mayer e di altre piccole aziende del quartiere.
Qui, come in altre situazioni analoghe, l’esperienza delle 150 ore diventa luogo di conoscenza, dialogo, relazione tra differenti soggetti sociali– in via Gabbro intellettuali, operai, casalinghe - accomunati dall’idea di cultura come diritto universale e come strumento di emancipazione collettiva.
La natura delle 150 ore per come l’abbiamo descritta è legata alla stagione politica e culturale degli anni ’70. Su questo la documentazione d’archivio e bibliotecaria che Fondazione ISEC mette a disposizione è, come abbiamo visto, molto ampia.
A partire dagli anni ’80, questo istituto contrattuale ha assunto una connotazione più individuale, legata all’obiettivo dell’avanzamento di carriera e dell’acquisizione di specifiche competenze professionali (la lingua straniera, l’informatica). Esso si è anche aperto a categorie il cui bisogno fondamentale è quello dell’alfabetizzazione o di un titolo di studio minimo (le casalinghe, i disoccupati, gli immigrati), obiettivi oggi garantiti sul territorio dai Centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPIA).
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