A Milano il periodo tra le due guerre è segnato da un fervore edilizio destinato a incidere in maniera traumatica sulla conformazione della città cancellando quella promiscuità di funzioni e ceti sociali che caratterizzava il vecchio tessuto industriale. E così mentre il centro assume progressivamente il volto moderno della città del commercio e degli uffici, la periferia si rispecchia nelle sue fabbriche.
La città borghese e la città industriale si fronteggiano, ma sono parte di un comune destino come ci fa vedere Corrado D’Errico che apre il suo film Stramilano con l’immagine di due ciminiere svettanti nelle brume del mattino, per poi seguire il risveglio della città e le mille attività dei suoi abitanti, in un fitto intreccio di negozi, laboratori e officine, che rappresenta uno dei tratti peculiari di un’economia caratterizzata da varietà di settori e produzioni. Da questo pulviscolo emergono alcune grandi imprese che imprimono il loro sigillo sul paesaggio della periferia: Alfa Romeo, Caproni, Innocenti, Isotta Fraschini, Riva Calzoni, CGE, Carlo Erba, Pirelli, Redaelli, Salmoiraghi, Breda, Ercole e Magneti Marelli, Falck.
Le fabbriche: un obiettivo strategico
Dopo l’entrata in guerra dell’Italia i comandi militari alleati stilano dettagliati elenchi dei maggiori stabilimenti industriali, altrettanti potenziali obiettivi. Grazie a una efficiente rete spionistica riescono fotografare con grande precisione consistenza e ubicazione dell’apparato industriale cittadino, che aveva una sua forte concentrazione nel quadrante nord, a ridosso degli scali ferroviari, e un prolungamento in direzione di Sesto San Giovanni.
Le informazioni raccolte e rielaborate avrebbero dovuto orientare le scelte strategiche dei comandi consentendo loro di ridurre in maniera significativa il potenziale economico italiano. L'esigenza era tanto più sentita dopo l’8 settembre 1943 quando i tedeschi avevano occupato gran parte del paese. Spesso l’accuratezza delle notizie era legata a fonti aziendali, verificate e aggiornate con successive ricognizioni aeree.
Produzione bellica alla Ernesto Breda
La città sotto le bombe
A partire dall’agosto 1943 i bombardieri angloamericani scaricarono a più riprese il loro micidiale carico sulla città, colpendo indistintamente monumenti (la Galleria, il Teatro della Scala, il quattrocentesco Ospedale Maggiore ecc.), edifici, fabbriche. Fotografie, cronache, memorie sono concordi nel restituirci l’immagine di edifici sventrati e di cumuli di macerie.
Ascolta la testimonianza Ermanno Olmi, Ragazzo della Bovisa (Milano, Mondadori 2004)
Vennero delle grida dalla strada. Chiamavano per chiedere soccorsi. In una via poco distante era crollata una casa e sotto le macerie era rimasta della gente intrappolata nel rifugio. Andarono in molti, ma si trovarono solo alcuni badili: gli altri lavorarono lo stesso con le mani. Scavarono tutta la notte e anche il giorno dopo, finché le voci non si udirono più.
Immagini dei bombardamenti su Milano dell'agosto 1943. Foto tratte dal Fondo Travaglini, b. 1, fasc. 37.
Nonostante gli obiettivi primari dei bombardamenti fossero le fabbriche impegnate nella produzione bellica, alla fine della guerra risultò che nessuna nervatura essenziale dell’apparato industriale aveva subito danni irreparabili e non esistevano ostacoli strutturali a una rapida ripresa del sistema produttivo. Ben altrimenti gravi erano state le distruzioni inflitte al patrimonio abitativo urbano e al sistema infrastrutturale (strade, ponti, linee ferroviarie ecc.). È vero che singoli comparti, dalla siderurgia alla cantieristica e alla meccanica pesante, erano stati pesantemente colpiti, ma nell’insieme si valuta che le perdite inflitte dalla guerra alla capacità produttiva del paese oscillino tra il 5 e il 10% del totale.
Risparmiare le fabbriche per la Ricostruzione
A frenare i bombardamenti sulle fabbriche sarebbe stato il desiderio di non creare condizioni che una volta finita la guerra ostacolassero la ripresa del paese. I raid aerei avevano l’obiettivo di bloccare le produzioni che avrebbero potuto rafforzare il nemico tedesco, ma non vi era alcun piano di distruzione del sistema produttivo del paese nel timore che questo avrebbe reso più complessa e difficile la ripresa postbellica. Già prima della fine della guerra a Washington molti erano convinti che la prosperità degli Stati Uniti fosse legata a quella dei suoi alleati all’interno del nuovo schema di alleanze politico-militari che si stava delineando.
La Breda e le altre fabbriche bombardate
Nelle fabbriche, i bombardamenti erano avvertiti come un pericolo costante da parte degli operai, esasperandone la stanchezza verso la guerra.
Alcune grandi industrie milanesi subirono danni ingenti. Negli alleati destavano particolare preoccupazione le fabbriche di aerei e materiale per l’aviazione. La Sezione aeronautica della Breda, sospettata di produrre componenti per i caccia Fw190 tedeschi, fu pesantemente bombardata nell’aprile del 1944, malgrado fosse evidente la semi paralisi delle lavorazioni.
Sezione V aeronautica della Breda dopo i bombardamenti subiti nell'aprile 1944
La Breda dopo i bombardamenti del 30 aprile 1944, che danneggiarono la Sezione V aeronautica e gli uffici centrali in via Bordoni.
Bombardamenti alla Innocenti di Lambrate
Bombardamenti in alcune grandi fabbriche milanesi: la Innoceti di Lambrate (1), l'Alfa Romeo (2, 3), la Motomeccanica (4-10)
Le immagini dei bombardamenti su Milano provengono dal fondo Travaglini. Carlo Travaglini (1905-1990) fu "un partigiano anomalo", come raccontato dalla scheda a lui dedicata su Archiui: maturo intellettuale italo-tedesco, fu espulso dalla Germania negli anni Trenta dopo essere stato rinchiuso in un lager; nella Milano occupata dai nazisti si beffò per mesi di Wehrmacht e Gestapo; dopo spericolate azioni che salvarono dalla deportazione centinaia tra operai, ebrei ed ex prigionieri di guerra alleati, fu scoperto, ma avvisato dai compagni, riuscì a lasciare il capoluogo lombardo per continuare la sua lotta contro il nazifascismo in una formazione partigiana nel Lecchese, la 89ª Brigata Garibaldi Alpi Grigne.