Uliano Lucas
Milanese, 83anni, fotoreporter, fotografo e giornalista free lance. Attento osservatore, attraverso la comunicazione visiva ha raccontata le fasi difficili e straordinarie che l’Italia ha vissuto. Egli ha saputo cogliere, con i suoi scatti, i cambiamenti che il miracolo economico aveva prodotto nel Paese, una nuova classe operaia formata da giovani operai venuti dal Sud, la conflittualità permanente, le periferie, gli interni delle case povere, le cascine trasformate in dormitori, le sale da ballo del sabato pomeriggio, le nuove aspirazioni e modelli di vita di un Paese che cambiava.
Qual è il rapporto di Uliano Lucas con la strage di Piazza Fontana?
Uliano Lucas è un diretto testimone degli eventi avvenuti a Milano nei mesi precedenti l’attentato di Piazza Fontana; egli, insieme ad altri osservatori e centri studi, lavorava in profondità per tentare di capire che cosa stava cambiando nel territorio, nei rapporti sociali, nella vita sessuale ed affettiva delle persone. In particolare era presente alla manifestazione sindacale del Teatro Lirico del 19 novembre 1969 al termine del quale fu ucciso il giovanissimo agente di Polizia Antonio Annarumma e ai suoi funerali.
Per quale motivo l’ISEC ha deciso di condurre questa intervista?
Lucas è stato testimone del clima di tensione e di forte conflittualità sociale e politica di quegli anni. Al momento dello scoppio della bomba si trovava nel suo studio fotografico a poche centinaia di metri da Piazza Fontana e fu tra i primi a sopraggiunge davanti alla sede della Banca Nazionale della Agricoltura dove scattò alcune foto rimaste nella memoria collettiva.
Quali erano gli umori della città dopo la strage del 12 dicembre?
C’era sgomento, paura, si parlava di colpo di stato, nel mondo che partecipava alle manifestazioni ci si chiedeva di chi fosse la provocazione. Due giorni dopo davanti ai cancelli della Pirelli gli operai dicevano no al fascismo. La partecipazione del popolo ai funerali fu straordinaria. Il mondo operaio, soprattutto i metalmeccanici, era da mesi e mesi in sciopero. L’autunno caldo è stata una lotta fortissima degli operai con un sindacato unito, la bomba era indirizzata a quello. I giovani lo intuivano. L’altro mondo, la borghesia, aveva paura dell’anarchico, una paura che partiva dalla uccisione di Re Umberto, dagli scontri del 1921-22. Era facile dare la colpa agli anarchici, che erano l’anello più debole e la borghesia conservatrice milanese ha creduto nella colpevolezza di Valpreda sino al 1972-73. Anche per diversi giornalisti era per impensabile che le istituzioni non dicessero la verità.
Come Uliano Lucas ha vissuto quei giorni?
Era tutta una città che esplodeva. Una creatività incredibile che prendeva tutti. La grandezza totale è stata la partecipazione delle persone comuni di Milano, accanto alla pomposità dei funerali di Stato, in un clima lugubre, di commozione generale, in silenzio. Due mondi. La sensazione che quella folla immensa dava era che non potevano passare. Poi è partita la caccia alle streghe. Era un movimento di massa che voleva dignità. E’ stato un popolo che ha detto di no, è andato avanti, sono state fatte riforme importanti per la dignità nelle fabbriche. Grazie a queste lotte, il Paese regge ed è andato avanti.